L’importanza della vulnerabilità
Brenè Brown è una ricercatrice che, qualche hanno fa, ha raggiunto una certa popolarità grazie ad un bellissimo Ted Talk sull’importanza della vulnerabilità, che vi suggeriamo caldamente di guardare:
In alternativa, ti proponiamo qui sotto la nostra sintesi del video:
La ricerca di Brenè Brown è partita analizzando la vicinanza emotiva, il motore che muove le nostre vite e ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno e andiamo in cerca nella nostra vita.
Intervistando le persone si è resa conto che quando chiedeva loro di parlare delle loro esperienze con la vicinanza emotiva raccontavano di quando erano stati allontanati dagli altri, quando chiedeva di parlare di ciò che avevano imparato sul senso di appartenenza loro raccontavano le loro storie sull’abbandono e così via.
E’ quindi arrivata ad identificare un sentimento di vergogna mista a paura, che regola le relazioni umane in modo universale e si esprime con una domanda che rivolgiamo a noi stessi:
C’è qualcosa su di me che, se scoperto dalle altre persone, farà sì che non meriterò più il rapporto con loro?
La base su cui poggia questo sentimento è un pensiero che tutti noi conosciamo: “Non valgo abbastanza“. Non sono abbastanza bello, non abbastanza magro, non abbastanza intelligente, non abbastanza simpatico e così via.
Proseguendo con la sua ricerca la Brown ha successivamente deciso di dividere il campione in due sottogruppi: persone che avevano davvero un senso di dignità, merito, amore e appartenenza e persone che si domandavano continuamente se fossero all’altezza scoprendo che c’era una sola cosa che differenziava i due gruppi: le persone con reale senso di dignità, merito amore e appartenenza credevano semplicemente di meritarselo.
Le persone che si tengono lontane dalla vicinanza emotiva, quindi, potrebbero farlo per la stessa ragione: non credono di meritarsela.
Analizzando solo i risultati del gruppo con un forte senso di dignità, merito, amore e appartenenza è emerso che ciò che queste persone hanno in comune è:
- il coraggio di essere e mostrarsi imperfetti;
- la capacità essere gentili con sé e con gli altri;
- la capacità di connettersi con le altre persone, come risultato della loro autenticità;
- l’accettazione della loro vulnerabilità. Ritenevano che ciò che li rendeva vulnerabili fosse anche ciò che li rendeva belle persone.
Non parlavano della vulnerabilità come qualcosa di piacevole ma nemmeno come qualcosa di struggente; semplicemente come qualcosa di necessario.
Raccontavano della volontà di dire “ti amo” per primi, di investire in qualcosa quando non hai garanzie di successo, di investire in una relazione che potrebbe funzionare oppure no.
Non è che non si sentissero vulnerabili e avevano anche loro lo stesso identico dubbio di non valere abbastanza. Ma non impiegavano la propria vita cercando di allontanare il senso di vulnerabilità. Anzi. Pensavano che fosse fondamentale.
Perché?
Come sappiamo anche da molti altri studi non è possibile anestetizzare selettivamente solo certe emozioni.
Nel momento in cui decidiamo di sopprimere ed evitare alcuni stati negativi come la vulnerabilità, la paura, la vergogna, la tristezza etc. stiamo sopprimendo anche la gioia, la gratitudine, la felicità. E poi stiamo male. E poi ci sentiamo vulnerabili. E poi facciamo qualcosa per non sentirci vulnerabili. E allora spingiamo ancora più lontano la gioia, la gratitudine, la felicità. E stiamo male.
E siamo in un circolo vizioso davvero complesso da disinnescare.
Per vivere una vita piena, con uno scopo e un significato, quindi, l’unica strada percorribile sembrerebbe essere quella di accettare la vulnerabilità, permettendoci di essere e mostrarci imperfetti. Fragili. Spaventati. Ma non per questo meno amabili.