Di: Irene Rossi
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Ho un attacco di panico!
“Che sta succedendo! Mi sento instabile, ho paura di perdere l’equilibrio, irrigidisco le gambe, la schiena, il collo, blocco il respiro, sento che sto per svenire, ho paura! Mi sento distaccato da me stesso e da ciò che ho intorno, mi si annebbia la vista, aumenta la paura e la sensazione di soffocare… Respiro male, sto perdendo il controllo, sto impazzendo! Oddio, non mi era mai successo nulla del genere… Devo muovermi, scappare!”
“Oddio, il cuore. Senti come batte! Ho esagerato, avrei dovuto evitare di correre. Troppo, troppo… Sta cedendo, sto per morire… È un infarto! Senti che dolore qui, sul petto… È un infarto! Ho bisogno di aria… Aria… Oddio, non respiro… Non ce la faccio… Ecco, muoio!”
Vi è mai capitato di sentirvi così?
Probabilmente allora vi siete trovati alle prese con un attacco di panico, un brusco aumento di intensi paura o disagio che raggiunge il picco in alcuni minuti, all’incirca una decina, e durante il quale si sono manifestati alcuni sintomi fisici come ad esempio tachicardia, dolore al petto, sensazione di soffocamento, formicolii, sensazioni di instabilità, disturbi addominali, accompagnati dalla paura di perdere il controllo, impazzire o addirittura morire.
In un nostro precedente articolo abbiamo parlato di paura ed ansia, vi ricordate?
Il panico è una reazione drammatica molto diversa, non possiamo descriverlo semplicemente come uno stato di elevatissima ansia: è invece uno stato emotivo volto alla gestione di un evento traumatico in atto, che sta avvenendo nel momento stesso in cui ci si trova, caratterizzato da estrema paura e sensazione di morte o impazzimento imminente.
È qualcosa quindi di ben diverso dalla preoccupazione e dalla tensione tipica dell’ansia, emozione che proviamo nel momento in cui prevediamo un pericolo futuro.
Ma quando si verifica allora un attacco di panico?
Quando valutiamo alcune sensazioni corporee e mentali innocue come molto pericolose. Le interpretiamo proprio come segnali indiscutibili di un’imminente catastrofe!
Quali sono le sensazioni che mal interpretiamo?
Possono essere quelle tipiche dell’ansia, ma anche di molte altre emozioni, come ad esempio la rabbia: dunque la tachicardia, il fiato corto, alcuni disturbi gastrointestinali, vampate di calore, insomma, tutti i segni di attivazione fisiologica associati.
Oppure possono essere quelle di stimoli di altra natura, come ad esempio i segnali di attivazione fisica dovuti al consumo di caffeina, oppure alcuni sintomi tipici di una condizione di ipoglicemia.
Dunque, noi percepiamo uno stimolo come minaccioso e ciò ci crea uno stato di forte preoccupazione. In seguito, interpretiamo in modo catastrofico le sensazioni mentali e somatiche che accompagnano questa preoccupazione, quindi sperimentiamo un ulteriore incremento della preoccupazione, e perciò aumenteranno e si faranno sempre più intense le sensazioni somatiche e mentali temute, e così via, in un circolo vizioso, fino all’esplosione vera e propria dell’attacco di panico!
Facciamo un esempio concreto: siamo ad una festa in discoteca con amici (sappiamo che di questi tempi è difficile ricordarsi di quei momenti, ma proviamoci!). Balliamo per un paio d’ore e d’improvviso sentiamo una sensazione di confusione mentale. Pensiamo subito sia il segno di un attacco di panico imminente, e di quelli brutti! Diventiamo dunque ansiosi, cominciamo a respirare affannosamente e tutte le sensazioni peggiorano. A questo punto temiamo di perdere il controllo e di impazzire. È più chiaro cosa ci succede?
E come si mantiene il panico?
C’è da aggiungere inoltre che molti fattori contribuiscono a mantenere il problema e sono tutti quei fattori cognitivi, emotivi e comportamentali che ci impediscono di disconfermare le nostre interpretazioni catastrofiche.
Ad esempio, la nostra attenzione sarà molto probabilmente rivolta alle nostre sensazioni mentali e corporee, a percepirne ogni minimo cambiamento e questo può contribuire ad un aumento di intensità con cui le percepiamo, predisponendoci maggiormente ad attivare il circolo dell’interpretazione catastrofica di cui abbiamo parlato poco sopra.
Anche i comportamenti che mettiamo in atto al fine di proteggerci da un possibile attacco di panico non fanno altro in realtà che mantenerlo: evitare dunque situazioni simili in cui abbiamo già fatto esperienza di attacchi di panico, come ad esempio i luoghi affollati, l’ascensore, l’automobile o l’attività fisica, oppure fuggire dalle situazioni appena si presentano sintomi che ci suggeriscono il possibile arrivo del panico.
Quando parliamo di disturbo di panico?
Quando gli attacchi di panico diventano ricorrenti e quando cominciamo a sviluppare una forte preoccupazione riguardo la possibilità di avere altri attacchi o riguardo le loro conseguenze, arrivando anche a mettere in atto tutta una serie di comportamenti protettivi, finalizzati all’evitamento degli attacchi stessi, possiamo parlare di disturbo di panico.
Il disturbo di panico può essere molto limitante e invalidante, perché può portarci a modificare di molto la nostra vita quotidiana.
Possiamo risolvere il problema?
Ovviamente sì, affidandoci ad un professionista che ci guidi, passo dopo passo, a riprenderci in mano la nostra vita e a risolvere il problema.
La terapia cognitivo – comportamentale è risultata essere molto efficace per il trattamento del disturbo da panico, mirando, attraverso step successivi, a renderci consapevoli del nostro funzionamento e del circolo vizioso del panico che ci ingabbia al suo interno, a modificare alcune credenze per noi dannose, che ci portano a spaventarci e a mal interpretare alcuni segnali fisici, ad accettare il rischio di poter provare una sensazione di panico e una sensazione di indebolimento che tanto ci spaventa, ed infine a prevenire le ricadute, lavorando sulla nostra vulnerabilità al disturbo.