Di: Irene Rossi
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Agorafobia: cos’è?
In un nostro recente articolo abbiamo parlato di attacchi di panico, cercando di far chiarezza su cosa accade nella nostra mente in determinate situazioni e su quali valutazioni facciamo rispetto ad alcuni sintomi fisici che proviamo.
Un meccanismo molto simile si presenta anche nell’agorafobia.
Che caratteristiche ha l’agorafobia?
L’agorafobia è definita come una forte paura o ansia in due o più delle seguenti situazioni:
- Usare i mezzi pubblici, come ad esempio automobili, autobus, treni, navi, aerei
- Stare in spazi aperti, come ad esempio parcheggi, piazze, ponti
- Stare in luoghi chiusi, come ad esempio negozi, teatri, cinema
- Stare in fila o essere in mezzo alla folla
- Stare fuori casa da solo
Se soffriamo di agorafobia viviamo con intensa paura queste situazioni o arriviamo ad evitarle totalmente poiché riteniamo che sia troppo difficile fuggire o che non sia disponibile un aiuto nel caso in cui cominciassimo a soffrire di quei famosi sintomi tipici del panico o di altri sintomi che valutiamo come invalidanti o imbarazzanti, come ad esempio la paura di cadere, soprattutto nelle persone più anziane, o la paura di soffrire di incontinenza.
Quando non riusciamo proprio ad evitare queste situazioni, ci ritroviamo ad affrontarle con una fortissima paura o ansia oppure riusciamo a farlo solamente con la presenza di qualcuno di familiare al nostro fianco.
Ma qual è in queste situazioni la catastrofe che temiamo possa accadere?
Come nel disturbo di panico, temiamo di morire o di impazzire, ma in un senso questa volta ben preciso: temiamo cioè di perdere completamente, definitivamente ed in modo irrecuperabile il controllo di noi stessi, la coscienza di noi stessi, la percezione di noi come agenti e dotati di volontà. Temiamo insomma che il nostro “sé” possa dissolversi. E tutto ciò lo riteniamo gravissimo.
Proviamo a spiegare meglio questo concetto.
L’impazzimento ce lo immaginiamo come una trasformazione in una sorta di zombie, in un essere dunque senz’anima, che vaga senza avere una propria intenzionalità.
Della morte temiamo soprattutto il dissolvimento del sé, e non la sofferenza o il degrado fisico, come per esempio accade in chi soffre di ansia da malattia (prossimamente ne parleremo in un nuovo articolo!); in questo caso, la meccanica della morte immaginata e temuta è prevalentemente legata a malattie che possono interrompere in modo brusco ed improvviso lo stato di coscienza e la presenza a noi stessi, a malattie che spesso agiscono per esempio direttamente sul cervello. La morte che temiamo proviene dall’interno piuttosto che dall’esterno.
Questo spiega anche perché temiamo proprio quelle situazioni citate prima!
Cosa hanno in comune queste situazioni temute?
Sembrerebbero tutte evocare un indebolimento del senso di sé, ossia proprio la catastrofe che più temiamo.
Le situazioni di solitudine, infatti, diventano per noi spaventose in quanto non sono presenti figure familiari dalle quali sappiamo di essere riconosciuti e con le quali ci identifichiamo. Ecco perché cerchiamo un accompagnatore per affrontare queste specifiche situazioni: per incrementare il nostro senso di sé attraverso la consapevolezza di una relazione in cui ci riconosciamo profondamente.
Le situazioni invece di costrizione sono associate alla diminuzione della possibilità di esercitare la nostra volontà, la nostra “agentività”: non temiamo solo la costrizione fisica, dunque, ma anche quelle situazioni o addirittura relazioni in cui il potere è in mano ad altri.
Gli spazi aperti infine ci spaventano molto perché sembrano implicare la sensazione di mancanza di punti di riferimento percettivi, di vuoto.
E come mai abbiamo proprio queste paure?
Probabilmente abbiamo imparato nell’ambiente in cui siamo cresciuti a ritenerci una persona psichicamente fragile, oppure abbiamo imparato che è estremamente importante non perdere il controllo di noi stessi, oppure non abbiamo sviluppato la capacità di gestire normalissimi momenti in cui il senso di sé si riduce fisiologicamente.
Queste credenze le abbiamo apprese probabilmente nell’ambiente in cui siamo cresciuti, nella nostra famiglia: probabilmente avevamo degli esempi in famiglia di persone considerate fragili a livello psicologico, oppure avevamo degli esempi di importanti perdite di controllo delle nostre figure di riferimento che hanno provocato gravi conseguenze o che ci hanno molto spaventato, oppure abbiamo subito da bambini forti critiche o siamo stati rifiutati nel momento in cui abbiamo espresso segni di vulnerabilità, di bisogno, di dipendenza. Oppure possiamo essere cresciuti in un ambiente iperprotettivo, che non ci ha permesso di fare esperienza di solitudine, ad esempio, o di avere l’occasione per apprendere come gestire i momenti di allentamento del sé.
Ora che abbiamo approfondito quali sono i meccanismi che caratterizzano l’agorafobia, sorge spontanea una domanda…
Cosa possiamo fare per risolvere l’agorafobia?
Innanzitutto, è importante rivolgersi ad un professionista, che possa aiutarci a spezzare tutti quei circoli viziosi che ci incastrano nel panico e che possa aiutarci a raggiungere una completa accettazione della sensazione di indebolimento del sé, senza che questa possa più risultarci minacciosa e spaventante.
Il lavoro terapeutico consigliato è molto simile a quello utilizzato nel disturbo di panico.
È utile lavorare per comprendere e far luce sul funzionamento del panico e su tutti i comportamenti di evitamento e di sicurezza che mettiamo in atto nel momento in cui ci troviamo ad affrontare le situazioni temute. È importante lavorare anche per modificare alcune credenze che abbiamo appreso nel tempo e che hanno un ruolo fondamentale nel determinare l’ansia ed il panico. Infine, è bene concludere il lavoro prevenendo le possibili ricadute attraverso la ricostruzione della propria storia personale e l’incremento del senso di sé.
“Una delle più grandi scoperte che un uomo può fare, una delle sue più grandi sorprese, è scoprire che può fare ciò che aveva paura di non poter fare”
Henry Ford